. . .ai sognatori perduti della mia generazione e all'imperitura memoria dell' On. Ministro Tommaso Padoa Schioppa, eroe integerrimo della Nazione. . .
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Qualche mese fa ho rimesso piede dentro la segreteria dell'Università degli Studi di Palermo, deciso finalmente a ritirare il mio diploma di laurea, che avevo lasciato ad asciugare per cinque anni. L'ufficio diplomi di laurea si trova adesso in una stanza angusta alla fine di un corridoio stretto del piano interrato, un' ex aula interrogatori usata per mettere sotto torchio gli studenti comunisti della Facoltà di Lettere e Filosofia ai tempi del rettore La Galla. Il dirigente dell'ufficio è un anziano signore con dei grossi baffi messo dietro a un bancone di legno; sembra un grigio impiegato del banco dei pegni della San Pietroburgo zarista uscito fuori da un racconto di Dostoevskij, o ancora il sinistro gestore di un negozio di oggetti magici pronto a venderti un Gremlin in gabbia, o ancora più semplicemente il proprietario di una ferramenta.
Comunico prontamente il mio vecchio numero di matricola, che porto tatuato sul braccio per non dimenticare mai, mai, mai, e quello fa un rapido controllo al computer, una macchina da scrivere con attaccato sopra un grosso monitor ingiallito con evidenti macchie di caffé vecchie di dieci anni.
Complicati algoritmi e liste di nomi infinite scorrono blu sulle spesse lenti del signore, che senza staccare gli occhi dallo schermo scandisce placidamente la mia data di nascita.
<<Tre. Maggio. Mille. Novecento. Ottantotto>>
<<Esatto!>>, gli dico entusiasta.
Alza gli occhi, mi guarda con un sorriso sorpreso e mi dice:
<<Sono troppo bravo con le date>>
<<Tutta esperienza!>> rispondo prontamente.
Si abbandona ad una risata brevissima. Poi si volta di spalle e scompare nella fitta selva di scaffali in cui sono catalogate le pergamene di laurea fin dalla notte dei tempi.
Rimango da solo a pensare: la mia fu un'annata degna di nota per via dello scandalo delle tesi di laurea dei dottori in Lettere e Filosofia rinvenute accatastate sul pavimento dei servizi igienici della Facoltà. Correva l'anno 2013.
Sento l'eco dei passi avvicinarsi e l'anziano signore risbuca dall'oscurità, poggiando quindi un contenitore cilindrico sul bancone che ci separa, proprio sotto al mio naso.
<<Controlla>> mi dice.
<<E la sua non l'ha presa?>> chiedo goliardicamente.
Ora fissavo attentamente quell'oggetto e tutto quanto stava intorno appariva sfocato.
Svito cautamente il contenitore e tiro fuori la pergamena: la filigrana era delle più pregiate, pareva brillare come rivestita da una polvere d'oro. Aveva qualcosa di imperiale, pareva immune allo scorrere del tempo; non vi era alcuna differenza – pensai - fra quella pergamena e quell'altra di fine '800 appartenente al mio bisnonno, capostipite di una tradizione di medici in famiglia che, in ultimo grazie al sacrificio di mio fratello, andava avanti da quattro generazioni. Soltanto, le distingueva lo stemma della Repubblica italiana nell'intestazione di quella che adesso tenevo dispiegata fra le mani – che aveva preso il posto del nome delle Loro Maestà - e la denominazione del corso di laurea: MEDIAZIONE LINGUISTICA E INSEGNAMENTO DELL'ITALIANO COME LINGUA SECONDA. Chi potrebbe mai prendere sul serio un corso di laurea con un nome così lungo?
Ripongo velocemente il documento all'interno del plico e mi congedo frettolosamente dal vecchio, che appoggiato con un gomito sul bancone ricambia il saluto in tono disilluso, avendo forse intravisto la solita espressione anche nei miei occhi, divenuti inaspettatamente lucidi come un nero diamante.
Ho preso l'aereo il giorno dopo e sono ritornato ai miei sporchi affari in Nord Europa, portando con me, riposto in un angolo della valigia, il plico consegnatomi dal signore coi baffi.
Ho passato tutta la notte pensando a quella pergamena, voltandomi e rivoltandomi irrequieto sul letto e ritrovandomi sempre a fissarla lì, arrotolata con il nastro rosso sulla scrivania. Però, quanti eventi aveva scatenato quel foglio di pregiata fattura, pensai. Negli anni seguenti alla mia laurea, avevo girato mezza Europa! Mi ero ritrovato a fare un corso di francese a Vichy per fare curriculum, quindi a lasciare il mio curriculum aggiornato con l'attestato di francese sui battelli per lo Chateau d'If a Marsiglia, e poi ancora nei Casinò e negli Hotel di Nizza. Ero emigrato in Germania l'anno in cui i crucchi avevano vinto i mondiali; avevo lavorato ad Amburgo prima come ratto da laboratorio in un'azienda di videogiochi - il mio primo contratto serio. Poi ancora come segreteria telefonica umana in una startup. Avevo girato in bici per la città con addosso il giaccone rosa di Foodora, e una volta, all'apice della mia carriera, mi fu pure offerta una posizione da radiatore dentro una Volkswagen, che però alla fine rifiutai perché non riuscimmo a trovare un accordo sul salario.
Avevo abitato in subaffitto in cinque case in cinque quartieri diversi; avevo fatto un corso da panettiere e un altro da mastro birraio; avevo imparato a fare le lasagne in casa e a pagare le bollette. Soltanto le camicie non avevo imparato a stirare. Ma un giorno, forse, avrei trovato moglie, e avrei risolto anche quel problema. In pochi anni la mia autostima era cresciuta a dismisura, vi dico! Avevo imparato una nuova lingua, conosciuto gente di tutti i tipi e di ogni parte del mondo, partecipato a feste sulla Reeperbahn dove avevo conosciuto ragazze bellissime. E poi, volete mettere?! Ero in Europa! Quando abitavo in Sicilia, uscivo di casa sonnecchiante con in mano una tazzina di caffè e davanti a me vedevo il mare infinito; a volte, con il cielo terso d'estate al mattino, si scorgevano, piccole piccole, le Isole Eolie. Adesso mi affacciavo alla finestra e vedevo la Polonia! Avevo visto il muro di Berlino, attraversato il mare del Nord in traghetto, fatto couchsurfing a Copenaghen; ero volato in Belgio un fine settimana e avevo bevuto la Trappista triplo malto, mangiato i cavoletti e pure le cozze con patatine di Bruxelles.
Ah! Magica pergamena! Mio tesoro! Sei potente come un magico anello! Quante esprienze mi hai permesso di fare, o pregiato foglio di carta! Chi è stato a dire che non servi a niente?!
Pensai a quante cose una laurea inutile ti costringe a fare. Conoscevo laureati in Lettere Classiche che erano andati a fare i croupier sulle navi da crociera lungo il Nilo, laureati palermitani in Lettere Moderne che incartavano le arancine nelle rosticcerie siciliane di Milano! Chi si era messo a produrre birra in cantina, chi era andato a fare il pasticciere a Dubai, chi il magazziniere a Dusseldorf. Chi era stato assunto in Ryanair ed era andato a vivere a Bergamo; chi era stato assunto in Ryanair ed era andato a vivere a Londra; chi era stato assunto in Ryanair ed era andato a vivere a Pisa.
Una laurea inutile muoveva i popoli e mischiava le razze! C'era chi era andato a fare uno stage a Tokio e aveva sposato una giapponese; chi era andato ad insegnare italiano in Polonia ed aveva sposato una polacca; chi era andata a fare la barista a Londra e aveva sposato un bulgaro! (sì perché a Londra è così). Chi dopo la laurea in Scienze delle Comunicazioni era andato a lottare con i Curdi in Siria perché non aveva trovato nulla ed era diventato un eroe di guerra; e chi, non avendo trovato nulla, aveva girato il mondo in bicicletta ed era diventato famoso!
Oh, potente pergamena! Fai di me ciò che vuoi! A te obbedisco soltanto!
Pensai poi agli stolti che si erano laureati in Giurisprudenza: avevano tutti aperto uno studio sotto casa e per sopravvivere alla noia si erano dovuti sposare! Chi si annoiava pure da sposato, aveva acceso un mutuo. Un avvocato si era suicidato! L 'avevano trovato impiccato! Una farmacista era diventata alcolista! Un anestesista drogato, un ingegnere informatico schizofrenico, un architetto con gli attacchi di panico!
Non avevano mai tempo per niente, nemmeno per pensare; parlavano una sola lingua, frequentavano gli stessi amici dai tempi del liceo, votavano Salvini e odiavano tutti gli immigrati che avevano uno smartphone.
Mi resi conto improvvisamente di come una laurea inutile facesse scattare la molla della creatività, e di come ognuna di quelle pergamene aveva reso più interessante la vita del suo fortunato possessore. Eravamo esploratori, viaggiatori, pionieri, visionari! Eravamo noi la nuova Generazione Perduta di Gertrude Stein!
Eravamo diventati tutti più intelligenti, anche! Mi tornò in mente il passaggio di un libro di H.G. Wells: "Pensiero e intelligenza sono necessari solo quando le cose vanno male; cambiamenti, pericolo, guai – ecco quando l'intelligenza è richiesta. Solo quegli animali i quali devono far fronte ad una grande varietà di bisogni e pericoli sono dotati di intelligenza".
A quel punto mi ero già alzato dal letto da un pezzo e mi ero messo a fare su e giù per la mia stanza nel cuore della notte, recitando quel monologo nella mia testa con un fuoco che mi bruciava dentro. E così, dopo che ebbi pensato tutte queste cose, presi la mia pergamena, la sfiocchettai e la appicciccai alla parete del mio appartamento di Amburgo al posto dell' acquerello raffigurante un porto siciliano che mi aveva spedito la mia mamma. La collocai fra la foto della ministra Fornero e quella del ministro Padoa Schioppa, che mi guardavano orgogliosi. Ah, ci stava proprio bene messa lì. Proprio bene. E la guardai a braccia conserte, con un sorriso pieno di tenerezza, ripensando alla mia discussione di laurea sui diari di Tomasi di Lampedusa, alla generosa introduzione della mia relatrice davanti alla commissione e alla commozione dei miei genitori quel giorno.
E poi, chissà perché, volai ancora più indietro con la mente, in quinta liceo. Finiva l'ora di letteratura italiana e parlavamo del futuro con il professore: delle nostre scelte, delle nostre aspirazioni, dei nostri sogni. E fra quei banchi sedeva chi già era giornalista, chi medico, chi ingegnere, chi bodybuilder.
Io non dissi una parola. Fu il professore a dirlo, per me: "Lui? Lui vuole scrivere".
Lo disse con l'espressione più greve.
Raccolse lentamente i suoi libri e li fece scivolare nella ventiquattroore; poi passò davanti alla cattedra e si fermò, lanciando un'occhiata scrutatrice verso ogni banco della classe. La campanella suonò e noi rimanemmo stranamente seduti a guardarlo, in silenzio.
Tirò su con il naso, come faceva sempre:
<<Tanti auguri per il vostro futuro...>> disse. E una fiamma gli illuminò gli occhi e un sorriso diabolico comparve sopra al mento appuntito:
<<delinquenti!>>
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