
Il cielo sopra il palazzo di giustizia di Dammtor sembra disegnato con acquerelli scuri. Siamo a latitudini scandinave e alle 23 non è notte ancora, ma comincia a far buio. C'è la luna piena, appena velata da una grossa nuvola di passaggio, e accanto brillano le luci degli elicotteri, fissi come stelle ormai da giorni sopra la città libera e anseatica di Amburgo. La prossima traversa sbocca sull'incrocio di Feldstrasse. Qui è dove due volte l'anno viene montato il DOOM, un immenso parco giochi a cielo aperto. Questa volta le luci non sono quelle gialle e luccicanti delle giostre, ma quelle blu e atone delle sirene che squillano da una parte all'altra della città, attraversandola come giganteschi serpenti. Quello che è appena passato è un mostro e tutti si sono fermati a guardarlo.
Più avanti la strada è ostruita da un centinaio di furgoni della polizia tutti uguali, parcheggiati su tre file ad occupare in larghezza tutta la carreggiata, fino a nuovo ordine. Dopo che ci si passa in mezzo a piedi, la discesa è libera per un centinaio di metri. In molti stanno seduti sui muretti del Rindermarkt o in piedi ai bordi dei marciapiedi, come ad aspettare il passaggio di una parata. Con un volo di fantasia, potrebbe essere il carnevale
Neuer Pferdmarkt è stata tagliata in due da un cordone della polizia.
E' la strada che unisce Sankt Pauli e Sternschanze, i quartieri più anarchici di una città già anatomicamente e fieramente left winged. Da Sankt Pauli arrivano marciando due plotoni di agenti in tuta antisommossa, seguiti dai blindati; molti manifestanti inveiscono contro, ma loro nemmeno li guardano. Una voce robotica, dal megafono di un blindato, intima a una ragazza coi dreads di togliersi di mezzo: si è distesa sulla strada per fermare il passaggio dei panzer. Partono applausi per lei. A destra, verso Sternschanze, non si può andare: solo alla stampa è permesso attraversare il cordone; hanno i caschetti da trincea con scritto PRESS e si muovono cautamente a gruppetti con la telecamera sempre accesa. L'unica è attraversare l'incrocio fino all'altro lato della strada, fare attenzione alle macerie e imboccare un corridoio umano che sfocia su uno slargo alberato, completamente buio se non per le insegne tenui di qualche locale che ormai fa da campo base per i manifestanti. L'asfalto è completamente bagnato e l'aria è umida, anche se non ha piovuto. Solo qui ci sono circa un migliaio di persone, in maggior parte giovani che in venti o trent'anni non hanno mai visto nulla del genere. Bevono birra e fumano erba come durante un qualsiasi fine settimana, e aspettano di vedere cosa succede. In testa al gruppo c'è invece qualche personaggio insolito, di quelli che di norma non incontri il venerdì sera. Ragazzi anche loro, vestiti di nero, con il volto coperto da sciarpa e bandane. Il più acceso è un tipo di origine turca, grosso, palestrato, tatuato, che come un capo ultras cerca di infuocare gli animi. Incede spavaldo a petto in fuori, Inveisce contro gli sbirri, fa gestacci. Parte una bottiglia e si infrange ai piedi degli agenti: sono in assetto davanti alla calca, con gli scudi alzati. Non sembrano per niente spaventati, lasciano fare. Illuminano qualche gruppetto più isolato con le torce a raggio lungo, li scrutano da dietro le visiere dei caschi. A intervalli qualcuno prova a violare la zona vietata e dai blindati parte subito il getto violento dei cannoni ad acqua. Tornano indietro, poi riprovano; la scena si ripete sempre uguale. Altre bottiglie volano sulle teste del corteo e atterrano sugli scudi. Il rumore delle pale degli degli elicotteri è incessante, i fari dei camion blu illuminano le spalle dei poliziotti, che appaiono come sagome minacciose, aliene, senza volto. Adesso incedono lentamente in direzione del corteo con i manganelli in mano. Qualcuno è spaventato, si defila. Poi l'urlo, come un'ola: la polizia carica. Corrono tutti senza guardarsi indietro, il gruppo si disperde, alcuni si nascondono sotto i portici di un palazzo ma i poliziotti non li inseguono. Era solo una scenata, un po' di paura. Ritornano alla loro posizione con calma, dando le spalle ai manifestanti. Nel giro di due minuti lo slargo si ripopola dai bordi della strada. Arrivano due paramedici a soccorrere un ragazzo ferito che è stato fatto stendere sul pavimento di un bar. E' inciampato durante la corsa e ha sbattuto la testa. Niente di grave. Tre giovani ragazze bionde, bagnate fradice, si denudano in mezzo alla folla. Il getto degli idranti ha colpito anche loro. Continua così, chissà per quanto: cariche, getti d'acqua, bottiglie, fuochi segnaletici a terra. Ma non è niente. Quelli sono solo ragazzi, la polizia li considera appena. Si gioca a gavettoni e guardia e ladri. Anche il turco muscoloso corre a nascondersi sotto i portici quando sente il passo veloce degli stivali di gomma.
Ludwigstrasse è un vialetto dall'altra parte del cordone di polizia che ha tagliato in due Neuer Pferdmarkt. E' quasi completamente buio, l'asfalto è ricoperto di cocci di bottiglia e qua e là cassonetti dell'immondizia divelti. Una pila di carte e legna sta bruciando a terra. I tetti dei negozi sono bassi e si vede sbucare nell'ombra qualche figura silenziosa. Qui la gente è poca, sparpagliata, ma è meglio non disturbarla. Sono un po' meno giovani, alcuni vestiti di scuro, altri a petto nudo che urlano come scimmie; certi indossano maschere inquietanti di mostri, altri ancora portano gli occhiali protettivi per i lacrimogeni e gli spray urticanti, non si sa mai. Sono tutti stravolti, girano in solitario per la strada devastata e di tanto in tanto si aggregano fra loro come cani randagi. Qualcuno sbuca da una via laterale, lancia una bottiglia e poi si dilegua. La scritta NO G20 imbratta i muri come nel resto della città. Alla fine del viale i poliziotti creano un muro umano. E' un cordone molto stretto, tanto che nell'angolo più buio della strada, sotto le fronde di un albero, gli agenti sembrano ammassati a piramide. Chi si avvicina a meno di cinquanta metri viene accecato dalle torce, che si accendono qui e là dal cordone come lampadine in mezzo al bosco. Qualcuno fa un passo in più a posta, i poliziotti gli urlano in faccia e con il manganello alzato gli intimano di tornare indietro. Lo stesso trattamento vale per tutti: residenti rimasti bloccati, giovani coppiette sperdute, provocatori. Percorrendo il viale dall'altra parte, la situazione diviene surreale. In due stanno dando fuoco a un cassonetto e altre decine vi si radunano attorno come per un falò in spiaggia. I botti dei petardi fanno sobbalzare. Un residente, un omone pelato con una giacca elegante, cammina verso casa a passo veloce con la sigaretta in bocca, cercando di non guardare nessuno. Un uomo a petto nudo si affaccia alla finestra per vedere che succede. D'un tratto svolta l'angolo un gruppo che corre. Si pensa a una carica della polizia, qualcuno fugge. Ma non ci sono poliziotti. La via è abbandonata a se stessa. E' notte fonda, in ogni traversa c'è un fuoco che brucia, le urla impazzite dei fantasmi vestiti di nero e dei mostri si odono ovunque.
Le fermate della metro sono chiuse. L'unica funzionante è quella
di Schlump, e per arrivarci bisogna attraversare lo Schanzenpark. Il parco è tranquillo, rischiarato dai fari dei blindati che appostati su una collinetta fendono le tenebre. Un ragazzo si ferma a pisciare sotto l'occhio dei fari proprio davanti ai poliziotti, che non battono ciglio. L'atmosfera è quella di un fine concerto, i gruppetti che attraversano il parco sono stanchi. Lungo il sentiero fra gli alberi regna il silenzio, al rumore degli elicotteri ormai non si fa più caso. Il prato è ben curato, la luna brilla nel cielo.
A Schlump gli addetti alla sicurezza stanno alzando la saracinesca all'ingresso della metro, partono urla e applausi di festeggiamento. Ci si stende a terra sulla banchina, aspettando il treno. Lo schermo avvisa che l'altro binario è ancora chiuso per motivi di ordine pubblico. Qualcuno beve ancora, ci si passa la bottiglia, si ride, si scherza. Altri collassano, abbracciati l'un l'altro. Nel frattempo, sulla Schutterbatt è divampato un grosso incendio e i fumi arancioni si alzano in cielo. Il faro degli elicotteri si muove freneticamente giù verso la strada, osservando tutto; i getti degli idranti, le luci blu, le sirene, le voci robotiche dei megafoni sono incessanti. Sembra La guerra dei mondi. La polizia ha fatto irruzione nei centri sociali e nelle case occupate. Alcuni manifestanti si sono arrampicati fin dal pomeriggio sull' impalcatura di un palazzo in restauro. Urlano come scimmie, lanciano bottiglie. Ci sono due che fottono a cielo aperto su un piano dell'impalcatura, davanti al panorama di fuoco e devastazione. I bancomat sulla strada sono stati distrutti, alcuni supermercati saccheggiati, molte auto incendiate.
I grandi del pianeta, intanto, a quest'ora sono di ritorno negli hotel lussuosi e nelle camere dei palazzi diplomatici, a bordo delle auto blu con i vetri oscurati, scortati dai serpentoni della polizia. Sono tutti un po' stanchi. Alla cancelliera Merkel fanno male i piedi; guarda fuori pensierosa, appoggiata al vetro del finestrino. E' stata una giornata lunga lunga durante la quale ha fatto da impeccabile padrona di casa ai colleghi arrivati da tutto il mondo. Conclusi gli impegni diplomatici del giorno, un pubblico d'eccezione, incravattato e in abito da sera scintillante, l'ha accolta in piedi al suo ingresso all' Elbphilarmonie, in occasione dell' esclusivissimo concerto che ha chiuso il primo giorno del vertice. Applausi!
Finalmente arriva il treno, i vagoni sono stracolmi. C'è una ragazza che ne ha ancora da vendere e intona l'inno della protesta: "Antì-capì-talis-ta!". Il resto del vagone parte in coro, preso a bene. Applausi!
Anche a Melania fanno male i piedi, ha tolto le scarpe da cerimonia ancora dentro l'auto e Donald l'ha sgridata. Il presidente sta postando un tweet per ringraziare tutti di una prima giornata del vertice impeccabile, e sta cercando di concentrarsi. Nel pomeriggio lui e Vladimir Putin hanno fatto un accordo per il cessate il fuoco in Sirya, una storica stretta di mano. Durante il concerto, Donald era seduto accanto al collega francese Macron, che non la smetteva di tenere la mano alla moglie. Una femminuccia. Proprio accanto a lui, che il giorno prima a Varsavia ha tenuto un virilissimo discorso di stampo nazionalista di fronte a un delirante pubblico polacco. Applausi!
Mancano tre fermate alla stazione centrale. Un ragazzo prende una bottiglia di spumante dalla sacca. Il tappo salta in aria con uno scoppio e sul treno bollicine e salti di gioia. Un ubriacone salta pure lui con gli altri, poi scivola a faccia terra sul pavimento in mezzo allo spumante. Due capelloni seduti che assistono alla scena stanno soffocando dalle risate. Applausi!
L'auto blu con a bordo Emmanuel Macron e la moglie ha quasi raggiunto l'hotel. Il Presidente della Repubblica francese bacia appassionatamente Brigitte sul collo, sussurrandole sconcerie in francese. Durante il concerto all' Elbphilarmonie, i due si sono tenuti romanticamente per mano. Brigitte era felice, ma le dispiaceva un po' per Melania, che sembrava imbronciata. Comunque, sia Emmanuel che Brigitte erano elegantissimi e molto, molto belli. Applausi!
Il fetore sul treno è terribile, un misto di alcol, vomito, sudore ed escrementi. Finalmente si scende. Le scale mobili alla fermata di Hauptbahnof Nord sono intasate, un invasato le sale in direzione contraria. Ce la fa! Ce la fa! Applausi!
Il maestro direttore d'orchestra Kent Nagano è felicissimo. Ha appena letto il tweet del presidente Trump, che si è detto entusiasta del concerto. La sua orchestra ha suonato per 80 minuti davanti a un pubblico d'eccezione. Oh, è stato un gran successo. L'esecuzione della Sinfonia n°9 di Beethoven è stata semplicemente perfetta, impeccabile. Ed è stato tutto un crescendo di emozioni intensissime fino al Grand Finale con l'Inno alla Gioia. Alla fine tutti in piedi: Merkel, Macron, Brigitte, Trump, Melania. Tutti ad applaudire! E insieme a loro tutto il pubblico presente. Uno sfavillare di papillon, scarpe tirate a lucido, gioielli, guanti bianchi da sera, abiti neri.
Oh si, erano tutti ad applaudire.
Applausi, applausi e ancora applausi!
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